ANTICO EGITTO
ANTICO EGITTO... CHE PASSIONE!
Chi non ha subito il fascino delle Piramidi e della Sfinge? Chi non ha discusso sulla loro datazione e i loro costruttori? A costruire quelle meraviglie, sono stati gli Antichi Egizi oppure dobbiamo scomodare Atlantidini ed extraterrestri, riconoscendo ai Faraoni il solo ruolo di custodi?
Oggi spuntano teorie al riguardo con la stessa proliferazione dei foruncoli sul volto di un adolescente.
Proviamo, è vero, una certa inquietudine davanti ad immagini di Divinità come ANUBI, il Dio dalla testa di Sciacallo, HAPY, dalla testa di Toro o SEKHMET dalla testa di Leonessa.
In verità, è la stessa inquietudine che proviamo davanti all’immagine del Minotauro di Creta o di altre misteriose Divinità del Mediterraneo.
Enigmi e Misteri circondano certi luoghi e certe Divinità. Ma che cos’è un Enigma o un Mistero? Gli antichi Testi Sacri, di qualunque cultura e religione, grondano mistero ad ogni pagina.
Il dizionario testualmente spiega: ciascuna delle Verità soprannaturali ed incomprensibili per la mente umana, che i fedeli sono tenuti a credere.
A questo punto, mi dispiace di dover infrangere qualche romantica illusione, ma, riguardo agli Antichi Egizi, Misteri ed Enigmi sono solo la scarsa conoscenza che ancora oggi si ha di quel popolo antico; Misteri ed Enigmi che lo studio e la ricerca svelano ogni qual volta si fa una nuova scoperta e le scoperte sono continue ed inarrestabili: 6 mila anni di storia sono tanti. Tralasciando la Preistoria.
Straordinaria la cultura egizia, che noi, gente moderna, tendiamo a definire unica e misteriosa.
Unica, certamente sì! Molte delle credenze religiose del mondo moderno affondano le radici proprio in quella filosofia di vita: il Giudizio Divino dopo la morte, il mito di Neith, Dea Vergine-Madre; quello di Usir (Osiride), Dio morto e risorto. Perfino il mito della Separazione delle acque (vedi Bibbia e Mosè) trova radici in un antichissimo racconto datato almeno 5 mila anni.
E le conoscenze scientifiche?
Ogni cultura, ogni epoca ha avuto il suo Genio. L’età classica ha avuto Archimede, Pitagora, ecc… L’età moderna ha avuto Leonardo, Galilei, Newton ed altri… L’antico Egitto ha avuto Imoteph, Senmuth ed altri.
Io sarei un po’ più cauta con Enigmi e Misteri e non mortificherei l’ingegno del popolo egizio, né gli assegnerei il ruolo di semplice “custode” di opere erette da “altri”. Da chi?
Credete davvero che un certo Sovrano si sia alzato un mattino ed abbia ordinato di erigere una Piramide? Magari sotto la supervisione di qualche extraterrestre?
Non è così! Ci sono voluti secoli di studi, ricerche e tentativi (spesso falliti) prima di giungere alla perfezione di quella che il mondo moderno considera una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico.
Noi, gente moderna, nonostante il computer e nonostante la conquista dello spazio, abbiamo ancora la tendenza a sintetizzare con il termine Mistero tutto ciò che ignoriamo o non comprendiamo.
E così, dopo tanto preambolo, sarà chiaro a tutti che la mia è un’autentica passione?
Chi non ha subito il fascino delle Piramidi e della Sfinge? Chi non ha discusso sulla loro datazione e i loro costruttori? A costruire quelle meraviglie, sono stati gli Antichi Egizi oppure dobbiamo scomodare Atlantidini ed extraterrestri, riconoscendo ai Faraoni il solo ruolo di custodi?
Oggi spuntano teorie al riguardo con la stessa proliferazione dei foruncoli sul volto di un adolescente.
Proviamo, è vero, una certa inquietudine davanti ad immagini di Divinità come ANUBI, il Dio dalla testa di Sciacallo, HAPY, dalla testa di Toro o SEKHMET dalla testa di Leonessa.
In verità, è la stessa inquietudine che proviamo davanti all’immagine del Minotauro di Creta o di altre misteriose Divinità del Mediterraneo.
Enigmi e Misteri circondano certi luoghi e certe Divinità. Ma che cos’è un Enigma o un Mistero? Gli antichi Testi Sacri, di qualunque cultura e religione, grondano mistero ad ogni pagina.
Il dizionario testualmente spiega: ciascuna delle Verità soprannaturali ed incomprensibili per la mente umana, che i fedeli sono tenuti a credere.
A questo punto, mi dispiace di dover infrangere qualche romantica illusione, ma, riguardo agli Antichi Egizi, Misteri ed Enigmi sono solo la scarsa conoscenza che ancora oggi si ha di quel popolo antico; Misteri ed Enigmi che lo studio e la ricerca svelano ogni qual volta si fa una nuova scoperta e le scoperte sono continue ed inarrestabili: 6 mila anni di storia sono tanti. Tralasciando la Preistoria.
Straordinaria la cultura egizia, che noi, gente moderna, tendiamo a definire unica e misteriosa.
Unica, certamente sì! Molte delle credenze religiose del mondo moderno affondano le radici proprio in quella filosofia di vita: il Giudizio Divino dopo la morte, il mito di Neith, Dea Vergine-Madre; quello di Usir (Osiride), Dio morto e risorto. Perfino il mito della Separazione delle acque (vedi Bibbia e Mosè) trova radici in un antichissimo racconto datato almeno 5 mila anni.
E le conoscenze scientifiche?
Ogni cultura, ogni epoca ha avuto il suo Genio. L’età classica ha avuto Archimede, Pitagora, ecc… L’età moderna ha avuto Leonardo, Galilei, Newton ed altri… L’antico Egitto ha avuto Imoteph, Senmuth ed altri.
Io sarei un po’ più cauta con Enigmi e Misteri e non mortificherei l’ingegno del popolo egizio, né gli assegnerei il ruolo di semplice “custode” di opere erette da “altri”. Da chi?
Credete davvero che un certo Sovrano si sia alzato un mattino ed abbia ordinato di erigere una Piramide? Magari sotto la supervisione di qualche extraterrestre?
Non è così! Ci sono voluti secoli di studi, ricerche e tentativi (spesso falliti) prima di giungere alla perfezione di quella che il mondo moderno considera una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico.
Noi, gente moderna, nonostante il computer e nonostante la conquista dello spazio, abbiamo ancora la tendenza a sintetizzare con il termine Mistero tutto ciò che ignoriamo o non comprendiamo.
E così, dopo tanto preambolo, sarà chiaro a tutti che la mia è un’autentica passione?
STORIA, TRADIZIONI E CURIOSITA'
Indice:
- Egitto... Faraone... da dove arrivano questi termini?
- Il Ren... il nome segreto
- La Maledizione dei Faraoni
- Mummificazione o Imbalsamazione
EGITTO... FARAONE... da dove arrivano questi termini?
Cominciamo dal termine EGITTO.
E’ la traduzione italiana del greco Ae-gi-Pthos, che a sua volta traduce l’antico termine egizio: Hut-Ka-Ptha.
Il significato letterale è:
DIMORA (Hut) dello SPIRITO (Ka) di PTHA.
E’ la III Dinastia e PTHA è IL Dio Dinastico di MEMFI.
In precedenza il territorio era indicato con altro nome: “Il Paese delle Due Terre”.
Le Due Terre erano: - KEM o “Terra Nera” e
- DESHRET o “Terra Rossa”.
L’unificazione delle Due Terre avvenne dopo varie ed alterne vicende, militari e diplomatiche, e un “Concilio”, in cui si decise di dare quel nome a tutto il territorio, in onore di PTHA, IL DIO CREATORE.
Curiosità: la parola ALCHIMIA deriva proprio da KEM (terra nera), che i tanti sognatori cercavano di manipolare chimicamente per trasformare in oro il materiale vile.
Passiamo al termine FARAONE.
Anch’esso è la traduzione del greco PHAR-ON; traduzione, a sua volta, dell’antico termine egizio: PER-Aa, ossia, PALAZZO-DIVINO o CASA-DIVINA.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!
Cominciamo dal termine EGITTO.
E’ la traduzione italiana del greco Ae-gi-Pthos, che a sua volta traduce l’antico termine egizio: Hut-Ka-Ptha.
Il significato letterale è:
DIMORA (Hut) dello SPIRITO (Ka) di PTHA.
E’ la III Dinastia e PTHA è IL Dio Dinastico di MEMFI.
In precedenza il territorio era indicato con altro nome: “Il Paese delle Due Terre”.
Le Due Terre erano: - KEM o “Terra Nera” e
- DESHRET o “Terra Rossa”.
L’unificazione delle Due Terre avvenne dopo varie ed alterne vicende, militari e diplomatiche, e un “Concilio”, in cui si decise di dare quel nome a tutto il territorio, in onore di PTHA, IL DIO CREATORE.
Curiosità: la parola ALCHIMIA deriva proprio da KEM (terra nera), che i tanti sognatori cercavano di manipolare chimicamente per trasformare in oro il materiale vile.
Passiamo al termine FARAONE.
Anch’esso è la traduzione del greco PHAR-ON; traduzione, a sua volta, dell’antico termine egizio: PER-Aa, ossia, PALAZZO-DIVINO o CASA-DIVINA.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!
IL REN.... ossia il NOME SEGRETO
Il mio nome è MARIA PACE. Il ren, ossia il nome, dicevano gli Antichi Egizi, é lo strumento che conferma l’esistenza di una persona, uomo o donna. Senza il proprio nome, dicevano, la persona non esiste.
Questo, d’altronde, vale anche ai giorni nostri: basta guardare gli imbarazzanti atteggiamenti dei concorrenti dei vari reality che imperversano in TV.
Ai tempi degli antichi Egizi, il nome era una cosa seria. Ne volete una prova?
ISIDE, la più potente fra le Divinità femminili del Pantheon egizio, narra una leggenda, decise un giorno di concentrare in sé tutta la potenza divina, detenuta dal vecchio e bavoso Ra, Padre degli Dei.
Con la complicità di TIAMAT, Dea-serpente, iniettò del veleno nel corpo di RA e lo ricatto:
“Rivelami il tuo ren, il Tuo nome segreto, ed io ti libererò di questa sofferenza.”
Il Padre degli Dei temporeggiò e provò ad ingannarla:
“Io sono Khepry che sorge al mattino – disse – Ra che arde a mezzogiorno e Ammon che tramonta a sera.”
“Questo non è il tuo ren.” insistette la Dea.
Quando RA capì che ISIDE non avrebbe ceduto, fu lui a capitolare:
“Figlia ingrata!” proruppe e la pregò di accostare l’orecchio alle sue labbra affinché altri non udissero il suo divino-ren.
Se tutto ciò non vi pare ancora sufficiente a comprendere l’importanza del “nome” per gli antichi Egizi, sentite questa, allora!
Sapete quel che il faraone Thutmosis III fece a sua zia, la famosa Regina-Faraone Huthsepsut, Grande Consorte Reale di Thutmosis II?
La Regina si fece sedurre dal potere e, di fatto, regnò per diciassette anni circa sul Paese. E non come Reggente, (Thut III era ancora ragazzo) ma come una vera Sovrana.
Quando il nipote-figliastro riuscì ad agguantare il potere, fece scomparire il nome, si dice, da tutti i suoi monumenti. Cancellandone il nome, il Faraone volle cancellarne il ricordo, la memoria e l’esistenza stessa.
Davvero straordinari, questi Antichi Egizi, eh!!
Il mio nome è MARIA PACE. Il ren, ossia il nome, dicevano gli Antichi Egizi, é lo strumento che conferma l’esistenza di una persona, uomo o donna. Senza il proprio nome, dicevano, la persona non esiste.
Questo, d’altronde, vale anche ai giorni nostri: basta guardare gli imbarazzanti atteggiamenti dei concorrenti dei vari reality che imperversano in TV.
Ai tempi degli antichi Egizi, il nome era una cosa seria. Ne volete una prova?
ISIDE, la più potente fra le Divinità femminili del Pantheon egizio, narra una leggenda, decise un giorno di concentrare in sé tutta la potenza divina, detenuta dal vecchio e bavoso Ra, Padre degli Dei.
Con la complicità di TIAMAT, Dea-serpente, iniettò del veleno nel corpo di RA e lo ricatto:
“Rivelami il tuo ren, il Tuo nome segreto, ed io ti libererò di questa sofferenza.”
Il Padre degli Dei temporeggiò e provò ad ingannarla:
“Io sono Khepry che sorge al mattino – disse – Ra che arde a mezzogiorno e Ammon che tramonta a sera.”
“Questo non è il tuo ren.” insistette la Dea.
Quando RA capì che ISIDE non avrebbe ceduto, fu lui a capitolare:
“Figlia ingrata!” proruppe e la pregò di accostare l’orecchio alle sue labbra affinché altri non udissero il suo divino-ren.
Se tutto ciò non vi pare ancora sufficiente a comprendere l’importanza del “nome” per gli antichi Egizi, sentite questa, allora!
Sapete quel che il faraone Thutmosis III fece a sua zia, la famosa Regina-Faraone Huthsepsut, Grande Consorte Reale di Thutmosis II?
La Regina si fece sedurre dal potere e, di fatto, regnò per diciassette anni circa sul Paese. E non come Reggente, (Thut III era ancora ragazzo) ma come una vera Sovrana.
Quando il nipote-figliastro riuscì ad agguantare il potere, fece scomparire il nome, si dice, da tutti i suoi monumenti. Cancellandone il nome, il Faraone volle cancellarne il ricordo, la memoria e l’esistenza stessa.
Davvero straordinari, questi Antichi Egizi, eh!!
LA MALEDIZIONE dei FARAONI
Qualcuno crede ancora nella “Maledizione dei Faraoni”? Probabilmente sì!
C’è qualcosa di vero? Naturalmente no!
Come e quando è sorta questa leggenda? Che cosa l’ha alimentata così a lungo?
Tutto cominciò quando l’archeologo inglese Haward Carter scoprì la tomba del celeberrimo faraone Thut-ank-Ammon, durante una spedizione archeologica finanziata dal magnate americano
Rimanderemo ad altra occasione la straordinaria e clamorosa scoperta di questa tomba e resteremo nell’ambito della più colossale “bufala” (così la chiameremmo oggi), architettata ad arte per sfruttare un’inaspettata ingenuità, dilagante nel momento intero.
Innanzitutto bisogna riconoscere l’uso che nel Mondo Antico si faceva di formule di maledizione per colpire o annientare un nemico. (uso che purtroppo persiste ancor oggi: basta seguire qualche programma televisivo)
Una delle forme più comuni di Maledizione, presso l’antico popolo egizio, era quello di scrivere una formula magica su un vaso o un coccio, facendola seguire dal nome del malcapitato: una formula con cui, naturalmente, si augurava ogni sorta di sciagura. Nel corso di una cerimonia si mandava in frantumi il vaso, accompagnando l’atto con le Parole Magiche: le He-kau.
Studiosi ed archeologi moderni, sia quelli seri che quelli che seri non erano affatto, conoscevano perfettamente l’uso di quelle pratiche.
Una di queste tavolette maldicenti fu trovata da un assistente di Carter. Fu dapprima catalogata come tutti gli altri reperti, ma in seguito, ripulita del terriccio, venne decifrata.
I geroglifici recitavano così:
“la morte colga con le sue ali
chiunque disturberà il sonno del Faraone.”
Fra il personale addetto agli scavi si diffuse un’immediata inquietudine: consapevoli delle paure ancestrali degli uomini del posto (manovali, sterratori, portatori) in primo momento si cercò di tenere segreta la notizia di quel ritrovamento e si fece perfino scomparire il reperto. Ancora oggi non si sa dove sia… né se sia davvero esistito.
Si trattava, però, di una notizia davvero ghiotta; impossibile da nascondere. Non passò molto tempo, perciò, prima che arrivasse a gente di pochi scrupoli e con conoscenze archeologiche e scientifiche praticamente nulle: avventurieri, truffatori e, immancabilmente, esoterici.
Quasi ad avvalorare le teorie di costoro, che sostenevano l’esistenza di una “maledizione”, una seconda iscrizione maldicente comparve all’interno della camera principale del sepolcro e recitava pressappoco così:
“Io respingo i ladri di tombe
e proteggo questa hut-ka (sepolcro)”
La notizia fece il giro del mondo e la leggenda della “Maledizione di Thut-ank-Ammon” ebbe inizio.
Come resistere a quell’affascinante storia di fantasmi e mistero?
Tredici, delle ventidue persone che componevano la Spedizione-Carter, persero la vita, si disse. Si disse e si ripeté per anni in tutto il mondo e in tutte le lingue, alimentando una superstizione che aveva il fascino del più profondo mistero. Si alimentò ad arte un’inquietudine ed una paura sempre crescente.
“Chiunque entri a contatto – si diceva – con la tomba del faraone Thut-ank-Ammon, resta vittima della sua Maledizione.”
Quel che si ometteva di dire, però, era il fatto che tutte quelle mori erano spiegabili, perché provocate da fattori naturali (cattiva igiene, malaria, morsi di serpenti, ignoranza). Si omise, ad esempio, di precisare che molte di quelle morti erano avvenute in tempi molto successivi e per cause tutt’altro che misteriose.
La leggenda della Maledizione, però, era estremamente affascinante e quel fascino catturava molti… Troppi, forse. Catturò letteratura e cinema. Soprattutto il cinema, che girò una pellicola dal titolo suggestivo: “La Mummia”, che fece da battistrada ad un filone di genere nuovo e accattivante: il “fantasy”.
Cos’è, dunque, la “Maledizione dei Faraoni”?
Gli studiosi conoscono perfettamente la profonda religiosità dell’antico popolo egizio: religiosità permeata di magia e superstizione, prodigi e misteri.
Una elite di persone, però, si staccava dalla moltitudine e nella misura in cui la Conoscenza cresceva (Scienza, Astronomia, Matematica, Medicina, Architettura, ecc) crescevano anche il loro sapere e il divario con un popolo lasciato nell’ignoranza. ( come in tutte le culture, naturalmente. Non esclusa la nostra)
Gli studiosi conoscono anche lo sforzo costante degli antichi Sacerdoti egizi per proteggere le tombe da profanatori e saccheggiatori, in azione fin dai tempi più remoti.
Congegni, trabocchetti, trappole: nulla di tutto ciò avrebbe tenuto lontano ladri audaci e con nulla da perdere.
Una sola forza poteva trattenerli e fermarli. I Sacerdoti egizi la conoscevano bene: la paura. La paura alimentata ad arte dalla superstizione; la paura dell’inspiegabile e dell’ignoto. In altre parole: la paura di una “maledizione”.
Per farlo, però, bisognava rendere credibili ed efficaci le minacce di una “maledizione”.
Quali mezzi avevano, gli antichi Sacerdoti egizi, per farlo? Possedevano conoscenze scientifiche e tecniche totalmente ignote al popolo e che custodivano assai gelosamente.
Un esempio? Gli antichi Sacerdoti egizi conoscevano gli effetti (ignorandone la causa) di sostanze radioattive come il radio o l’uranio; soprattutto quest’ultimo, che trovavano in profondità nelle miniere d’oro. Conoscevano le proprietà allucinogene o letali di certe piante e sostanze: oppio, aconito, cicuta, arsenico, i cui fiori dai petali colorati rallegravano i famosi “giardini di Hathor”… e non solo quelli.
Nessun congegno, per quanto pericoloso, poteva essere efficace quanto un’allucinazione o una morte inspiegabile. Se ancora oggi esistono persone ingenue che credono nelle maledizioni e si affidano a responsi, (lo attesta la numerosa clientela di santoni, veggenti e chiromanti) come stupirsi che in un passato così remoto ne fosse vittima gente ignorante e superstiziosa?
Ed ecco la domanda cruciale: che cos’è, in realtà, la famosa “maledizione dei Faraoni”?
Sono le conoscenze scientifiche e tecniche che gli Antichi Egizi possedevano e mettevano in pratica per proteggere le loro tombe.
Com’è nata, in tempi moderni, quella leggenda?
Nacque dall’incredibile interesse mondiale sorto intorno a quella tomba, la più ricca mai scoperta prima, e fu alimentata da una stampa irresponsabile e da fantasiosi narratori, i quali cavalcarono l’emotivita, l’ignoranza e quell’inconscio desiderio di favole che è in fondo allo spirito di ognuno di noi. Esoterici e pseudo-studiosi fecero il resto, proponendo le più stravaganti ed improbabili fantasie e spacciandole per teorie che… se non sbaglio, sono cose che vanno dimostrate.
La “maledizione dei Faraoni” non è neppure una teoria, ma solo una fantasia per tutti quelli che credono in quel genere di favole.
Qualcuno crede ancora nella “Maledizione dei Faraoni”? Probabilmente sì!
C’è qualcosa di vero? Naturalmente no!
Come e quando è sorta questa leggenda? Che cosa l’ha alimentata così a lungo?
Tutto cominciò quando l’archeologo inglese Haward Carter scoprì la tomba del celeberrimo faraone Thut-ank-Ammon, durante una spedizione archeologica finanziata dal magnate americano
Rimanderemo ad altra occasione la straordinaria e clamorosa scoperta di questa tomba e resteremo nell’ambito della più colossale “bufala” (così la chiameremmo oggi), architettata ad arte per sfruttare un’inaspettata ingenuità, dilagante nel momento intero.
Innanzitutto bisogna riconoscere l’uso che nel Mondo Antico si faceva di formule di maledizione per colpire o annientare un nemico. (uso che purtroppo persiste ancor oggi: basta seguire qualche programma televisivo)
Una delle forme più comuni di Maledizione, presso l’antico popolo egizio, era quello di scrivere una formula magica su un vaso o un coccio, facendola seguire dal nome del malcapitato: una formula con cui, naturalmente, si augurava ogni sorta di sciagura. Nel corso di una cerimonia si mandava in frantumi il vaso, accompagnando l’atto con le Parole Magiche: le He-kau.
Studiosi ed archeologi moderni, sia quelli seri che quelli che seri non erano affatto, conoscevano perfettamente l’uso di quelle pratiche.
Una di queste tavolette maldicenti fu trovata da un assistente di Carter. Fu dapprima catalogata come tutti gli altri reperti, ma in seguito, ripulita del terriccio, venne decifrata.
I geroglifici recitavano così:
“la morte colga con le sue ali
chiunque disturberà il sonno del Faraone.”
Fra il personale addetto agli scavi si diffuse un’immediata inquietudine: consapevoli delle paure ancestrali degli uomini del posto (manovali, sterratori, portatori) in primo momento si cercò di tenere segreta la notizia di quel ritrovamento e si fece perfino scomparire il reperto. Ancora oggi non si sa dove sia… né se sia davvero esistito.
Si trattava, però, di una notizia davvero ghiotta; impossibile da nascondere. Non passò molto tempo, perciò, prima che arrivasse a gente di pochi scrupoli e con conoscenze archeologiche e scientifiche praticamente nulle: avventurieri, truffatori e, immancabilmente, esoterici.
Quasi ad avvalorare le teorie di costoro, che sostenevano l’esistenza di una “maledizione”, una seconda iscrizione maldicente comparve all’interno della camera principale del sepolcro e recitava pressappoco così:
“Io respingo i ladri di tombe
e proteggo questa hut-ka (sepolcro)”
La notizia fece il giro del mondo e la leggenda della “Maledizione di Thut-ank-Ammon” ebbe inizio.
Come resistere a quell’affascinante storia di fantasmi e mistero?
Tredici, delle ventidue persone che componevano la Spedizione-Carter, persero la vita, si disse. Si disse e si ripeté per anni in tutto il mondo e in tutte le lingue, alimentando una superstizione che aveva il fascino del più profondo mistero. Si alimentò ad arte un’inquietudine ed una paura sempre crescente.
“Chiunque entri a contatto – si diceva – con la tomba del faraone Thut-ank-Ammon, resta vittima della sua Maledizione.”
Quel che si ometteva di dire, però, era il fatto che tutte quelle mori erano spiegabili, perché provocate da fattori naturali (cattiva igiene, malaria, morsi di serpenti, ignoranza). Si omise, ad esempio, di precisare che molte di quelle morti erano avvenute in tempi molto successivi e per cause tutt’altro che misteriose.
La leggenda della Maledizione, però, era estremamente affascinante e quel fascino catturava molti… Troppi, forse. Catturò letteratura e cinema. Soprattutto il cinema, che girò una pellicola dal titolo suggestivo: “La Mummia”, che fece da battistrada ad un filone di genere nuovo e accattivante: il “fantasy”.
Cos’è, dunque, la “Maledizione dei Faraoni”?
Gli studiosi conoscono perfettamente la profonda religiosità dell’antico popolo egizio: religiosità permeata di magia e superstizione, prodigi e misteri.
Una elite di persone, però, si staccava dalla moltitudine e nella misura in cui la Conoscenza cresceva (Scienza, Astronomia, Matematica, Medicina, Architettura, ecc) crescevano anche il loro sapere e il divario con un popolo lasciato nell’ignoranza. ( come in tutte le culture, naturalmente. Non esclusa la nostra)
Gli studiosi conoscono anche lo sforzo costante degli antichi Sacerdoti egizi per proteggere le tombe da profanatori e saccheggiatori, in azione fin dai tempi più remoti.
Congegni, trabocchetti, trappole: nulla di tutto ciò avrebbe tenuto lontano ladri audaci e con nulla da perdere.
Una sola forza poteva trattenerli e fermarli. I Sacerdoti egizi la conoscevano bene: la paura. La paura alimentata ad arte dalla superstizione; la paura dell’inspiegabile e dell’ignoto. In altre parole: la paura di una “maledizione”.
Per farlo, però, bisognava rendere credibili ed efficaci le minacce di una “maledizione”.
Quali mezzi avevano, gli antichi Sacerdoti egizi, per farlo? Possedevano conoscenze scientifiche e tecniche totalmente ignote al popolo e che custodivano assai gelosamente.
Un esempio? Gli antichi Sacerdoti egizi conoscevano gli effetti (ignorandone la causa) di sostanze radioattive come il radio o l’uranio; soprattutto quest’ultimo, che trovavano in profondità nelle miniere d’oro. Conoscevano le proprietà allucinogene o letali di certe piante e sostanze: oppio, aconito, cicuta, arsenico, i cui fiori dai petali colorati rallegravano i famosi “giardini di Hathor”… e non solo quelli.
Nessun congegno, per quanto pericoloso, poteva essere efficace quanto un’allucinazione o una morte inspiegabile. Se ancora oggi esistono persone ingenue che credono nelle maledizioni e si affidano a responsi, (lo attesta la numerosa clientela di santoni, veggenti e chiromanti) come stupirsi che in un passato così remoto ne fosse vittima gente ignorante e superstiziosa?
Ed ecco la domanda cruciale: che cos’è, in realtà, la famosa “maledizione dei Faraoni”?
Sono le conoscenze scientifiche e tecniche che gli Antichi Egizi possedevano e mettevano in pratica per proteggere le loro tombe.
Com’è nata, in tempi moderni, quella leggenda?
Nacque dall’incredibile interesse mondiale sorto intorno a quella tomba, la più ricca mai scoperta prima, e fu alimentata da una stampa irresponsabile e da fantasiosi narratori, i quali cavalcarono l’emotivita, l’ignoranza e quell’inconscio desiderio di favole che è in fondo allo spirito di ognuno di noi. Esoterici e pseudo-studiosi fecero il resto, proponendo le più stravaganti ed improbabili fantasie e spacciandole per teorie che… se non sbaglio, sono cose che vanno dimostrate.
La “maledizione dei Faraoni” non è neppure una teoria, ma solo una fantasia per tutti quelli che credono in quel genere di favole.
MUMMIFICAZIONE... o IMBALSAMAZIONE?
MUMMIA! Un termine che evoca terrificanti, hollywoodiane scene di “zombi” che avanzano barcollando e perdendo pezzi di bende. Questo termine, perciò, è diventato sinonimo di cosa raccapricciante e spaventevole.
Mummia o corpo imbalsamato?
Naturalmente non è la stessa cosa, anche si tende a definire “mummia” qualunque corpo conservato, proveniente dal passato.
La mummificazione è un processo naturale di conservazione del corpo mentre l’ imbalsamazione è un processo artificiale.
Nel primo caso occorrono: assenza totale di umidità e temperature elevatissime oppure bassissime. (vedi la mummia del Similao).
Nel secondo caso, invece, occorrono balsami (da cui il termine) ed altre sostanze necessarie al processo di conservazione.
Gli Antichi Egizi hanno praticato la mummificazione fino alla III o IV Dinastia dei Faraoni; in qualche caso anche durante la VI Dinastia, quando, cioè, per le sepolture (a parte la Piramide) venivano scelti siti desertici ad elevata temperatura e scavando in profondità.
A partire dalla VI Dinastia e soprattutto durante il Nuovo Impero, quando la capitale si spostò da Memfi a Tebe, nella Valle, dove l’umidità era assai più elevata, nacque l’esigenza di trovare un rimedio all’azione di decomposizione dei corpi.
Il processo di imbalsamazione era lungo ed elaborato e poteva durare fin anche a 60 – 70 giorni; le operazioni erano numerose.
Per primo si estraeva il cervello, attraverso le narici e con l’ausilio di un martelletto ed attrezzi chirurgici; il cuore, invece, salvo rare eccezioni, restava in loco. Gli occhi venivano sostituiti con globi o altro materiale.
Successivamente si praticava un’incisione di una decina circa di centimetri sul fianco sinistro del corpo, sufficiente all’imbalsamatore (un medico, perfetto conoscitore della struttura interna di un corpo) di introdurvi una mano per estrarre i tessuti molli: intestino, fegato, polmone e stomaco.
Questi, la loro volta, venivano trattati e conservati, il più integralmente possibile, in appositi vasi detti canopi , dal nome della città in cui si producevano: Canopo.
Al loro posto nella cavità, venivano introdotte sostanze varie: profumi, balsami, resine, sabbia, ecc…
Poiché non esisteva ancora pratica di sutura delle ferite e l’apertura tendeva ad allargarsi ed a rigettare il materiale introdotto, si ricorse all’uso di bende.
All’inizio si trattò di un bendaggio leggero; in seguito, però, a partire dalla XVIII Dinastia, quello del bendaggio (fino a venti strati) divenne un vero rituale durante il quale ogni parte del corpo veniva affidata alla protezione di una specifica Divinità.
Sostanziale, dunque, la differenza tra mummificazione ed imbalsamazione. Ciò nonostante, si indica un corpo sottoposto a processo di conservazione, con un solo termine: MUMMIA.
Ma da dove deriva questo termine?
All’inizio dell’avventura egizia, alcuni studiosi cercavano di studiare le sostanze che facevano da collante alle bende; ancora oggi, alcune di quelle sostanze sono rimaste sconosciute: forse provenienti da piante estinte o, forse, altro.
Si scoprì una sostanza scura ed appiccicosa, simile al bitume.
Il bitume, in Egitto, veniva indicato con termini quali: mummif o mumiya. Si usò lo stesso termine per indicare quel corpo oggetto di studio e tutti gli altri: MUMMIA, per l’appunto
MUMMIA! Un termine che evoca terrificanti, hollywoodiane scene di “zombi” che avanzano barcollando e perdendo pezzi di bende. Questo termine, perciò, è diventato sinonimo di cosa raccapricciante e spaventevole.
Mummia o corpo imbalsamato?
Naturalmente non è la stessa cosa, anche si tende a definire “mummia” qualunque corpo conservato, proveniente dal passato.
La mummificazione è un processo naturale di conservazione del corpo mentre l’ imbalsamazione è un processo artificiale.
Nel primo caso occorrono: assenza totale di umidità e temperature elevatissime oppure bassissime. (vedi la mummia del Similao).
Nel secondo caso, invece, occorrono balsami (da cui il termine) ed altre sostanze necessarie al processo di conservazione.
Gli Antichi Egizi hanno praticato la mummificazione fino alla III o IV Dinastia dei Faraoni; in qualche caso anche durante la VI Dinastia, quando, cioè, per le sepolture (a parte la Piramide) venivano scelti siti desertici ad elevata temperatura e scavando in profondità.
A partire dalla VI Dinastia e soprattutto durante il Nuovo Impero, quando la capitale si spostò da Memfi a Tebe, nella Valle, dove l’umidità era assai più elevata, nacque l’esigenza di trovare un rimedio all’azione di decomposizione dei corpi.
Il processo di imbalsamazione era lungo ed elaborato e poteva durare fin anche a 60 – 70 giorni; le operazioni erano numerose.
Per primo si estraeva il cervello, attraverso le narici e con l’ausilio di un martelletto ed attrezzi chirurgici; il cuore, invece, salvo rare eccezioni, restava in loco. Gli occhi venivano sostituiti con globi o altro materiale.
Successivamente si praticava un’incisione di una decina circa di centimetri sul fianco sinistro del corpo, sufficiente all’imbalsamatore (un medico, perfetto conoscitore della struttura interna di un corpo) di introdurvi una mano per estrarre i tessuti molli: intestino, fegato, polmone e stomaco.
Questi, la loro volta, venivano trattati e conservati, il più integralmente possibile, in appositi vasi detti canopi , dal nome della città in cui si producevano: Canopo.
Al loro posto nella cavità, venivano introdotte sostanze varie: profumi, balsami, resine, sabbia, ecc…
Poiché non esisteva ancora pratica di sutura delle ferite e l’apertura tendeva ad allargarsi ed a rigettare il materiale introdotto, si ricorse all’uso di bende.
All’inizio si trattò di un bendaggio leggero; in seguito, però, a partire dalla XVIII Dinastia, quello del bendaggio (fino a venti strati) divenne un vero rituale durante il quale ogni parte del corpo veniva affidata alla protezione di una specifica Divinità.
Sostanziale, dunque, la differenza tra mummificazione ed imbalsamazione. Ciò nonostante, si indica un corpo sottoposto a processo di conservazione, con un solo termine: MUMMIA.
Ma da dove deriva questo termine?
All’inizio dell’avventura egizia, alcuni studiosi cercavano di studiare le sostanze che facevano da collante alle bende; ancora oggi, alcune di quelle sostanze sono rimaste sconosciute: forse provenienti da piante estinte o, forse, altro.
Si scoprì una sostanza scura ed appiccicosa, simile al bitume.
Il bitume, in Egitto, veniva indicato con termini quali: mummif o mumiya. Si usò lo stesso termine per indicare quel corpo oggetto di studio e tutti gli altri: MUMMIA, per l’appunto